domenica 5 dicembre 2010

Danza per me

Danzatrice del ventre che
t'immergi nei miei sguardi
e che fluttui sopra il mio corpo
con le mani,
con i piedi,
con il seno prosperoso che si fonde
col mio petto,

e i tuoi movimenti felini che mi si annidano
in fronte coi tuoi sinuosi
capelli che mi si frantumano
in volto,

voglio prenderti, voglio farti mia,
Voglio renderti la mia
danzatrice del ventre.

domenica 28 novembre 2010

Una traccia di te

Vicino al mio letto sento
una lieve traccia di te, che leggera
mi accarezza
nella tua assenza.

Profuma del tuo candore
sotto le coperte
calde..

mi osserva anche, pare
arrivi sino alle parti più
intime della mia anima e
mi spinga verso te.

Quest' attrazione che mi trascende
s'impregna su questa tua ombra,
che è calda e tiepida e candida, e
mi fa stare bene quando tu non ci sei.

sabato 30 ottobre 2010

Fradicio

Dal prato che corre verso la
criniera della collina bruma ho
teso un arco costruito col
nocciolo.

L'ho esteso più che potevo,
stringendo forte i denti e le mani
e la corda era tesa all' inverosimile.

Prima di perder le forze, però, lo
legai all' ampolla dell' Aquario
in cielo, lanciandomi così oltre i
i monti all' orizzonte, oltre i mari,
oltre il sole, per ritrovarmi proprio
dove ero partito, addormentato nel
prato fradicio, con delle nocciole per
la mia amata in mano.

giovedì 21 ottobre 2010

Ricordo opaco

Le foglie romane sono
diverse da quelle del
mio paese, sono più piatte,
soffocate dalla luce
dei viali.

Ci sono cinque spiriti
che vagano nei bassifondi
di Roma e selene ha il
tuo viso, mi cerca in questa
vena di oscurità.

Abbagliati dalla birra
fumosa di una bettola,
ritorniamo in quel carcere
d' hotel. Forse era meglio
una fuga, una fuga in un
posto qualsiasi, dove almeno
si possa guardare quel cavolo
di cielo!

sabato 25 settembre 2010

Lo Scudo Zen

Tetro era il volto
dell'immaggine ossessiva che mi
violentava il dormiveglia,

Era Lui, sapevo chi era,
questo era il mio unico vantaggio:
conoscevo il mio nemico.

Tramorttiva i miei sogni e li
tramutava in incubo,
eravamo solo io e lui, non vi era
tregua.

I suoi attacchi erano delle ondate
di paura che mi trapassavano gli occhi
e io a difendermi con il mio solo
scudo, lo zen.

Capii come combatterlo, poiché compresi
che similmente a Medusa egli si sarebbe
distrutto guardandosi nel volto.

Così, con un raggio di luce che proveniva
da coloro che mi erano vicini, riflettei
il suo volto nello scudo ed egli
vide la sua finitezza, scomparendo.

venerdì 17 settembre 2010

Il riflesso di Anne

Avevo percorso il lungo ponte un sacco di volte,
eppure non avevo mai lasciato uno sguardo a un passante
o al fiume o al cielo.

Solo una cosa avevo in mente: marciare,
sbrigarmi e marciare sempre più in fretta, ero
sempre in ritardo.

Così mi persi gli sguardi, i volti, i sorrisi,
i pianti o le indefferenze di chi passava di lì.

Non vidi nemmeno un'anatra fluttuare
sull'acqua primaverile o i fuochi d'artificio
sul fiume.

Ebbi solo il tempo di vedere la mia morte negli
occhi di un passante e me stessa riflessa
nell'acqua.

giovedì 9 settembre 2010

Non pensavo che nella vita potesse
esistere un amore come il nostro.

Più forte di qualunque cosa, del
tempo, delle afose o aride e fredde stagioni, un amore
che non si consumi ai primi baci;

più forte delle differenze, che ogni volta
vengono dolcemente accompagnate con una carezza;

più forte della morte, che anche se
porterà via uno dei due prima dell'altro,
ci ameremo comunque, perché siamo
fatti in modo tale da non poter
essere separati, nè dal tempo, nè
dall'odio, nè dalla morte.

martedì 7 settembre 2010

Vetro da sgranocchiare

Mi arrabatto e fuggo, vedo un barattolo
vuoto di vetro, lo rompo e me lo mangio, oggi
va di moda mangiare il vetro.

E' veramente buono, come sto bene, non ho più
problemi. Sto bene perché sono in un
cilindro in aria, la mia bara
nel cielo.

martedì 31 agosto 2010

Ribaltiamo la piramide ( \/ )

Fiumi di bare e montagne
di cenere, lì è dove siamo
diretti.

Fino a che punto non ribalteremo
la piramide, e noi, ultimo
gradino, potremo essere liberi.

Bave di veleni colano dalle
fabbriche, la natura implora
pietà.

Fino a che punto ci vedremo
morire e non combatteremo
per i nostri figli.

Cieli inarquati, fatti di gas,
respira a pieni polmoni.

Fino a che punto ci faremo
risucchiare l'aria, è nostra.

Il mondo ci appartiene!
Ribaltiamo la piramide.

sabato 21 agosto 2010

Morire a vent'anni non era roba per te

Rapito dal mare, è così che
mi parlavano di te.
Un ultimo bagno, un ultimo
bagno dicevi agli amici incoscienti
come te e senza badare
a nulla ti lanciasti da
quello scoglio come tanti
prima di te e il mare
ti inghiottì intero.
Ti volle trascinare,
trascinare fino in fondo,
voleva farti morire
quel giorno, così che
mi lasciassi quella
chitarra giapponese,
che solo per suonarla ci
vanno due spalle così.

Dentro quella, però, c'è
il tuo spirito, l'ho sentito
mentre suonavo far vibrare
le corde, esalare quel
respiro che non riuscisti a
fare sott'acqua e che ora
lo sento, così soffocante,
così voglioso di vita.

Morire a vent'anni è cosa
da partigiani, non era roba
per te, ma il mare ti
rapì, con uno sciabordare
delle acque ti rapì.

sabato 14 agosto 2010

Lo sgabello nel bagno

Lo sgabello è conficcato sul
soffitto del bagno,

mi siedo.

Inizio a leggere, le lettere
iniziano a sciogliersi,
gocce di inchiostro piovono
sul pavimento.

Un mare di inchiostro si è
creato nel bagno, col giornale
faccio una barchetta,

tiro l'acqua.

Navigo errabondo,
le tubature mi risucchiano
ma non passo.

la pressione mi catapulta via
nel cestello delle robe sporche,

che allegria.

Le mura diventano elastico e si
restringono,

lanciandomi
sullo sgabello conficcato sul
soffitto,

mi siedo.

Sul muro una scritta:

"La merda è kitsch!".

martedì 3 agosto 2010

La luna era la vela
della nostra nave,
che solcava le fibre
del mare con la scia
del latte dei tuoi
seni.

Alberi lungo la
scogliera si abbracciano,
ricordandoci che anche
loro si amano.

Tutta questa bellezza
non sarebbe nulla,
se non ci fossi tu ad
amarmi ed è così che mi
sono innamorato di te,

perché con te nel cuore
riesco ad amare tutto.

martedì 27 luglio 2010

lunedì 26 luglio 2010

Una notte sensuale

Colate di piacere mi
travolgono,
la testa rotea.
Il potere dell'immenso
fuoco è forte,
lo sento ardere.

Ribolle dalle profondità
dell'anima il sangue,
sgorga in un fremito.

Lava come sangue,
sangue come lava,
tutto intorno è fuoco.
I sensi si frammentano
il calore divampa
immenso.

I corpi dal caldo
fremono,
freme l'anima
come se da questi
staccarsi volesse.

Ecco lo sento, giunge,
giunge sino a me
non lo trattengo.
Tutto impazza,
tutto impazzisce,
tutto va più veloce
e si ferma.

Frantumato lo spazio
esplode l'istante
nel piacere
e vibra.

Vibra e non si ferma,
vibra ed è eterno
poiché tutto può
essere eterno
in una notte sensuale.



Questa poesia l'ho scritta con la mia dolce metà angie in una notte di plenilunio..

giovedì 8 luglio 2010

Nulla può racchiuderti

Nulla può racchiuderti,
non un pensiero, un'immagine,
un diario.

Né una poesia dei grandi o un
dipinto degli artisti parigini,

nemmeno un libro potrebbe narrare
come sei, con più di mille pagine.

L'unico modo per capire come sei
è assaporarti, baciare le tue
labbra,

ali di gabbiano
che portano sino
alla tua anima

e vederti
in tutta la tua bellezza.

sabato 26 giugno 2010

Nebbia sui Romantici campanili

Vorrei innalzarti sopra la
nebbia che ti avvolge così che
tu veda un eterno sole.

Tra il tuorlo d'infinito
e viali sconfinati
un drappo di lenzuola sventola
lento..

Vuoto irridescente sale sui
romantici campanili, è nebbia
che piange dolcemente senza
far rumore alcuno.

I campi sconsolati riversano
aghi d'oro, sfumati dal vento,
in una marea di nuvole al tramonto.

Il lento sibilare dei muti riccioli
si sfrega sul mio viso,
ed è così che ti vedo.

Ora sento che ti amerei sempre,
che ti amerei in qualsiasi forma o
stato, e sento che se tu fossi polvere,
diventerei polvere
anch'io

per amarti..

giovedì 17 giugno 2010

A Angie

Draghi veleggiano lungo il mare,
sassi sporgenti svettano sulle onde
come i seni protuberanti di una sirena.

Navi antiche ormeggiano nel fondale deserto,
lì i morti hanno ancora una lama
affilata tra i denti.
Che vogliono da me i morti?
A volte pare mi chiamino, cerchino a gran
voce e che non vedano l'ora di riabbracciarmi,
esattamente come le onde, che dopo un lungo
cammino, arrivano sino alle spiagge.

C'è qualcosa di strano nel mio ventre,
risuona echi in cui non mi riconosco,
richiama gesti che non ho mai fatto, ma
che la fantasia preme sugli occhi
affinchè avvengano.

Ora però devo fermarmi, altrimenti verrei
divorato da me stesso, devo rallentare questo
dannato tempo e sondarmi il cuore,
togliergli quei pesi che lo inchiodano al
muro, per lasciarlo di nuovo libero.

Ho bisogno di te Angie, stammi vicino
ancora e sospirami parole dolci, che quasi
non si sentono per paura che qualcuno le oda.

Allietami con un tuo respiro, perchè qua la mia
mente gioca col cuore ad un gioco a chi
è più forte, a chi arriva prima. Aiutami
a far prevalere l'amore, in cambio
non ti lascerò sola nei turbamenti della vita, ed
ogni volta che avrai bisogno ti tenderò la mano.

venerdì 4 giugno 2010

Un teatro per due

La tua voce irrompeva nel
teatro, vuoto; giungeva sino
a me e d'un tratto non fummo più
lì, il tempo si zittì e il teatro
era ormai pieno.

C'erano solo papaveri intorno a noi
e non sentivo che la tua voce, che con
prepotenza scardinò le mura del
teatro. Tutti ora potevano sentire quella
musica, il tuo canto, sconfinato, e noi
ci mandammo un sguardo che trafisse la
penombra del palco e che ora è dentro
al mio cuore.

giovedì 13 maggio 2010

Bacio infinito....

Viandante che vai per
le terre ocsure,
i raggi divorati dalle
ombre, il giorno
premuto contro
l'orizzonte non riesce
a destarsi.

Un bacio però ha spaziato
nelle tenebre ed è giunto
sino alle tue labbra.
Ha folgorato i sensi e
ricoperto di verde le terre,
il verde di primavera dei
germogli neonati.

Hai illuminato sino agli
angoli più bui della mia anima,
ed ora brilliamo insieme,
danzando tra cieli fioriti
e prati infiniti.

sabato 8 maggio 2010

Un muro di suono fino al cielo

Provo la voce della chitarra,
non mi basta.

Alzo la linea del volume, il
suono si incanala nelle vene.
Voglio di più

Un muro di suono fino al cielo,
ecco cosa ci vorrebbe.

Elevo una catasta di ampli,
uno dopo l'altro e li porto
lassù, tra gabbiani e nuvole.

Ora ci siamo, il suono è quello
giusto, è arrivato fino al cuore.
riesco a spostare le nuvole con la
musica, a farle danzare.

Si rompe la barriera del suono,
infrangendo i timpani. Ora sono
tutti sordi, con gli occhi, però,
vedono danzare le nuvole.

domenica 25 aprile 2010

Scernock pt. finale

Si svegliò titubante il mattino dopo, il quadro del sogno gli era impresso nel ventre della sua mente, ma non riusciva a comprenderne il significato. Avrebbe potuto ancora vagare qualche sera sempre in ricerca o scovare ancora degli indizi fuori di se, non lo fece, preferì rimanere con i suoi pensieri, voleva uscire da se stesso sentendo per intero il suo essere. Si concentrò a fondo, poi, avendo iniziato senza un motivo a sussurrare l'om, sentì la mente che si allontanava, lasciando il posto ad un' emozione mai provata prima, egli aveva sentito il suo essere per intero e l'aveva esteso oltre i confini del proprio io, sconfinando nel flusso del suo essere. Aveva toccato i limiti vivaci e accesi del suo intero io, unendo a questi i confini dell' universo.
In qell' abbraccio quasi materno egli rivide il bambino, nato dalla cenere, e lentamente ne scorse il volto. Quel bambino era lui, era lui per diamine, e rappresentava il suo risveglio. Il risveglio della parte di lui più profonda, che aveva scaraventato nelle viscere più oscure dell' inconscio e ora però ne aveva rivista una parte. Ora incominciava il suo cammino, il suo vero cammino.
Mai il suono del tamburo l' aveva emozionato tanto, era il suo cuore che s' apriva, che irraggiava l' infinitezza dell' esistenza. Era la vita in lui. Si sentiva vivo come non mai e le lacrime ricoprirono il suo viso. Esplose l' armonia dei sensi nell' emozione più bella mai provata. Vide in sè il cammino del mondo, vide in sè gli esuli del mondo in cui viveva, quelli che erano andati oltre, oltre le cose, oltre la terra, oltre la vita. L' amore si era impossessato di lui.

Voci di monaci nella sua mente, inondavano il suo inconscio, giungendo sino alle spiagge del suo io cosciente. Quelle voci gli mostravano il suo passato, riavvolgendo il tappeto del tempo sino all' infanzia, sino  ai giochi infantili. Gli balenava il ricordo assopito, il seme della verità era finalmente sbocciato in un' immagine vivida, come se l' avesse appena vissuto, con ancora tutto che gli formicolava sulla pelle. L'immagine era questa: Scernock bambino che giocava in strada con alcuni amici, improvvisamente una tempesta irruppe e i bambini si dileguarono. Lui però non era scappato, era rimasto lì, sotto la scrosciante pioggia. Aveva visto un signore, a gambe incrociate vicino alla strada, pure lui non si era mosso di un centrimetro nonostante l'acquazzone. Si avvicinò lentamente a quella misteriosa figura e senti come un sussurrò uscire dalle labbra bagnate. Si avvicinò ancora e senti un suono distinto, l'uomo stava dicendo "Om". Quell' uomo era un monaco, lì vicino c' era un monastero bhuddista, e appena incrociò lo sguardo con Scernock bambino sorrise. Era un sorriso diverso dai soliti che aveva visto, ne rimase come abbagliato per qualche istante, era ipnotico ed esprimeva una serenità più irradiante del cielo estivo.
Sì ricordò così che da piccolo, dopo essere stato abbagliato da quella misteriosa figura, aveva provato a imitare la posizione e i modi di quell'uomo. Infatti appena arrivato a casa si rintanò nella sua stanza, si mise a gambe incrociate e incominciò a pronunciare quella parola udita poco prima, l' om. Brividi, quasi subito, corsero lungo la shiena e la sua mente era stata zittita. D' un trattò però la sua mente si ribellò a quella sensazione, la paura iniziò a farsi largo nella sua mente, la paura di non sentire più il proprio io, che voleva sempre essere al centro di tutto. Quella paura aveva fatto sì che lui rinunciasse a nuovi tentativi di mettersi in quella posa. Almeno, ciò si prolungo fino ad ora. Ora però aveva compreso la grandezza di quel gesto, la bellezza dell' infinito e dell' amore, del mondo che era entrato nei suoi polmoni, del sangue che ribolle come le lavi più profonde. Si era finalmente ricongiunto col tutto.

venerdì 16 aprile 2010

Scernock pt. 1°

Tutto sembrava un tormento, tutto lo inseguiva continuamente, provava a fuggire, ma qualsiasi cosa facesse la situazione tornava sempre come prima: Era lui, solo, e non aveva più nessuno. Aveva gettato il suo animo su delle persone, che però lo avevano rigettato, scaraventato nuovamente in quell' esistenza piatta, fatta di monotonia e noia di vivere.
Scernock si rese conto di essere inseguito da qualcosa, la portava sotto pelle e non poteva disfarsene. Non importava dove si recasse o chi frequentasse, ormai faceva parte del suo DNA e si divertiva a tormentarlo. Tutto era notte, dentro e fuori di lui, non vedeva che la cenere della fine dei tempi, sparsa vicino al vuoto di un buco nero.
Non aveva figli, ragazze si ne aveva avute, però tutte videro in un lui qualcosa che le fece fuggire, scappare, come chi vede la morte in faccia. Credeva che nello sguardo si celasse il suo problema. Si guardava attonito allo specchio, fissando i suoi occhi sbiechi, sembrava che fossero quelli di un demone. Perchè, cosa aveva fatto, che cosa gli brulicava nell'animo da rendergli un simile sguardo. Queste domande lo tormentavano e così vagava, quasi ogni sera, di bettola in bettola, per trovare qualche indizio, qualche briciola che gli desse spiegazione di che cosa fosse, di che cosa gli fosse successo. Le serate però finivano sempre allo stesso modo: lui, rannichiato nell'angolo più estremo del divano, a guardare quella dannata parete della sua stanza, dove c'era un segno sul muro, una piccola vena rossa, che sembrava volesse offuscare qualcosa, cancellare qualcosa. Scernock si sentiva così, come se una sbarra rossa gli fosse sempre davanti. Ogni volta che gli pareva d'essere sulla soglia della verità, la sbarra calava di fronte a lui.
Le bettole che frequentava erano di solito dei bar di quartiere, frequentate per lo più da ubriaconi senza vita, che ridanciavano e si malmenavano sino a tardi. Era quel cavolo di impulso che lo portava in quei posti, l'odore di feccia era per lui irresisitibile, forse perchè lui si sentiva come loro, feccia, robaccia da buttare in un cassonetto.
Il suo bar preferito era il bar di Jacky, un omone grassoccio con le braccia penzolanti come salami appesi. Faceva ogni tanto qualche parola con lui, anche se si guardavano sempre in cagnesco; due cagnacci randagi, di cui ognuno crede che l'altro sia messo peggio, guardandolo con disprezzo.
Scernock lavorava come corriere in una ditta di trasporti da quattro soldi, non veniva pagato granchè, in più aveva l'affitto da pagare. Del denaro non gliene fregava molto, forse perché non c'era niente che lui ritenesse utile comprare, se non il necessario per vivacchiare. Vivacchiare, credo sia questo il termine giusto per descrivere la sua esistenza. Uno che lavora, si nutre e fa una salto al bar ogni tanto, si, direi proprio che vivacchia.
Sembrava una notte come molte altre, il carro nel cielo trainava sempre i buoi del suo misero destino nella medesima direzione, e lui, dopo aver passato la solita serata schifa da jacky, aveva deciso di prendere una strada diversa per tornare a casa. Non sapeva nemmeno lui spiegarsi perchè, ma quelle sera passò sul ponte di river brake. Sorpassato il ponte notò qualcosa di strano, che gli diede un lungo ed elettrico brivido per la schiena. Aveva visto un tombino aperto e per poco non ci era finito dentro. Molti penserebbero che fosse paura ciò che aveva provato, invece no, quel vuoto del tombino, quell'oscurità pentrante che esalava nella strada, gli aveva fatto ricordare che mancava qualcosa nella sua memoria, vi era come un buco, una zona d'obmra che gli era ignota, un ricordo che diceva: "accesso negato".
Sentì l'impulso di muoversi e alla svelta anche, corse allora di fretta verso casa con frenesia. Passo dopo passo la sua mente era sempre più confusa, si aggrovigliava in mille ragionamenti senza venirne a capo; provava ad estrapolare da altri ricordi la mancanza, la perdita di una parte di sè, una parte importante, che si era assopita in un sonno profondo. Il letargo sembrava però essersi concluso e iniziava ad aprire leggermente gli occhi la verità sul suo passato.
Arrivato a casa barrò l'uscio e andò nella sua stanza. Aveva le mani nei capelli e si lagnava. Si fermò d'un tratto e smise di lamentarsi. Fissò intensamente quella vena rossa sul muro, quella misera striscia rossa. D'un tratto si destò in lui qualcosa, pulsava e batteva contro le pareti del suo cervello, lui spalancò la sua mente e si lasciò andare. Cadde in uno stato di incoscienza e sognò, non aveva mai sognato così prima: c'era lui, con alghe per tutto il corpo, anzi, era fatto di alghe, e in alto una fenice solcava i cieli. Era buio e nuvole nere invadevano il cielo, d'un tratto la fenice spiccò il volo dentro le nubi e bruciò. Di lei non rimasero che ceneri. Da quelle vide nascere un bambino e lui a guardarlo.

sabato 10 aprile 2010

Vetro appannato

Il mondo striscia nell' universo
e lascia dietro sè la bava degli
astri, le sbavature lungo la
scia ne rendono impossibile
la vista di ciò che era.

Qui si guarda attraverso un vetro
appannato e l'unica cosa che si
può fare è disegnarci sopra.

sabato 3 aprile 2010

Avviso di Sfratto

Tu, che hai albergato la
mia mente troppo a lungo, non
hai pagato l' affitto, perciò
ti sfratto. Voglio fare spazio
ad un nuovo inquilino, che non
derubi gli immobili nella mia
mente e che non scriva sulle
pareti del mio cervello murales
indelebili, parole che parrebbero
vere, se non fossero un gesto
di protesta e di noia.
 

Addio vecchia inquilina, trovati
un altro posto da arredare e un
altro cuore da prosciugare.

domenica 28 marzo 2010

Ombre

Sono un'ombra grigia che
anela alla vita.
Vagando tra un cassonetto e
l'erbaccia ti ho rivista in un
fondo di bottiglia premere
contro il vetro.
Eri la nave imbottigliata dai
remi spezzati che portavi le
altre ombre con te, tra le 
viscere dell'oceano. Mugugnanti
anelano alla vita, poichè 
sono ombre, ed io con loro
a remare con dei cavolo di 
remi spezzati.

mercoledì 17 marzo 2010

Un tamburo non a tempo

Lo sento, quel tamburo che risuona
e mi batte dentro. Vuole costringere
il mio cuore ad andare al suo tempo,
al suo ritmo, dice: "Dove vai con
quel tuo misero battito, non vedi
che vai fuori tempo? Non senti gli
altri cuori che vanno insieme a me?
Sei solo, quanto pensi di durare
nella mia tribù con un ritmo del
genere?". Mi altera la vista, la
luce è impazzita nella sala, e
il coro di tamburi è sempre più
forte. Mi rimbomba nel ventre, con
il suono vuole frantumarmi le orecchie,
inacidirmi la vista, rendendomi schiavo
del suo ritmo. Non so fino a quando
resisterò a questo frastuono.
Resistergli per cosa, per chi, per
me forse che già mi sento solo?

mercoledì 10 marzo 2010

Mendicante di me stesso

Solingo col mio mantello ho
attraversato i deserti inondati da
un rosso rovente, ho capito che
giravo in circolo e mi sono riappropriato
di me stesso, l'ho sradicato dalla
stringente terra e me lo vedo ora
qua davanti ai miei occhi.

Nonostante il viscidume e lo sporco
scorgo ancora dentro me quello
sguardo, quel gemito che urla
dagli occhi ed è insaziabile. Mendica
sempre le stesse passioni e mi sta
divorando nel ventre.

Perchè non reggo lo sguardo, il mio
stesso sguardo mi parla,
mi stride nelle orecchie e io non
odo che un sussurro, un lamento
disturbato dagli echi di un
volto, che porto dentro dall'infanzia.

Eccolo il volto, sempre con la
stessa espressione, imperscrutabile
e quasi minacciosa, smunte le guance
che suonava come un tamburo africano.
Fuggì da me con la mia voce in fronte
e io con una sua foto in mano. Il
volto non sono io, è mio padre.

giovedì 4 marzo 2010

Un sorriso tra le spighe

Ho ripescato da un nero pozzo
l'emozione che ho rigettato, come
dopo una sborgna terribile.
L'ho rivista, era solo un pò
sgualcita, fradicia e ingiallita.
Al sole l'ho lasciata asciugare
qualche giorno, poi ho riaperto
quel foglio con la scritta di quel
vecchio sapore, che ricorda
il fondo di bottiglia del vino.
Nono sembrava vero, tutto mi
riaffiorò in un bagliore di memoria,
dove sedevo su di un tronco
tagliato e guardavo quei
fiori roventi o quello pallidi, e
poi a sdraiarmi nel prato vicino,
sognando qualcuno con cui
condividere quel momento.Sai,
la primavera non l'ho mai
passata con un amore, questo
sarà il mio unico rimpianto, di
non aver assaggiato quelle
tonde albicocche con una fanciulla
amata, fino a rincorrersi e a
rotolarci fra le spighe e fare
l'amore tra quell'oro. Se poi
qualche contadino ci avesse visto,
saremmo corsi via con le sue
urla, ma con un sorriso
inebriato frai denti.

lunedì 22 febbraio 2010

Un gemito dal tunnel

Nessuna luce in questo tunnel, è sempre
buio qua e si va avanti a stento, curva
dopo curva nella galleria si riempono
le anche di paure e si muovono
sghembe a mò di mosca su quella
frutta sgualcita dal tempo, mezza marcia
e rinsecchita, che può piacere solo
ad un animale del genere o al mio
cane, che mangiava di tutto. Di lui non
altro ora che una ciotola mezza mangiucchiata
e un divano rosicchiato, fatto a pezzi.
Anche lui è in una galleria ed urla
vendetta, si strazia poichè aveva rubato
una scarpa di troppo, un laccio
mangiucchiato di troppo di un vicino
squadrato in un mosaico d'oriente.
Il guaito vorrebbe giustizia, ma non
capisce, quella non è mai stata dalla
nostra parte, quella viene divorata
ogni notte dietro ad un cassonetto o un

vicolo cieco, e chi l'afferma ormai sembra 
che corrisponda al suo opposto.
Dunque taci il ruggito cucciolo mio, e taci
gli occhi e i denti a questa terra.
Non dimenticherò mai il tuo verso, e ora
riposa, probabilmente scaraventato
dentro a un fosso o alla neve.

giovedì 11 febbraio 2010

Guarda la montagna con che forza si erge,
come trae la testa fuori dalle nuvole.

Guarda!

Guarda!!

Guarda!!!

Solo quest'attimo hai da assaporare.

Senti l'alba che sgorga dai tuoi occhi,
fiume d'iride memore della tempesta.

Senti!

Senti!!

Senti!!!

Nulla di più bello è quest'amare.

L'ora della Mole ormai è svanita,
trepido sale il nastalgico ardore,
per te che ormai sei dentro al
mio cuore.

sabato 6 febbraio 2010

Una sola lettera

Dov'è il mio mattone,
il mio angolo di muro non
lo vedo più,
forse è passato un imbianchino
e ora non c'è più, forse
è arrivato un bambino
con un pennarello rosso.
 

Scrissi una sola parola,
anzi
una sola sillaba,
una sola lettera che per
me era tutto.
ed ora che non la vedo più
pure quel ricordo è svanito,
sotto a un velo
bianco o rosso.

martedì 2 febbraio 2010

Nel Tuorlo della Galassia

Inseguo un pavone a Venezia fino
alla grande piazza, dove sul costale
lampioni impazziti decollano, infrangendo
il suono e la vetrata di un barbiere, forbici
sguizzano nel canale come salmoni.

sbucciato il campanile ne sorge una banana
che irradia l'acqua. Mi immergo
nel liquido,
visione temporale.
 

Sul bracere che costeggia gli astri
mi incammino nel tuorlo della galassia.
C'è solo fuoco vibrante e
ansimante che alimenta sorgenti
di ninfe, danzanti agli argentei
spruzzi della calcarea luna.

martedì 26 gennaio 2010

Palpita impazzito e non ha freno
chiude le vie con dei massi
scioglie il sangue in briciole
pietrisco che mi acceca

feroce assale ogni sorgente
chiude spiragli contorce le mani
da atti misericordiosi ad un
elastico da capelli

gene portatore di bava alla
bocca e gomiti bucati stupri
i movimenti della carne
assaparondo le mie gesta

arpioni lancio ai sorrisi delle
aurore datemeli che ve ne fate
io ho un viso di terra cotta con
la pancia della bocca all' in su

venerdì 15 gennaio 2010

Lingue
assetate scorrono
sul contorno del fuoco:

inghiottono luci

di malinconia.

Pervade lugubre l'era nelle
foreste ammantate di spine,
solo un fiore
pulsa sotto la neve.

Iride scuro impenetrabile
che mi sai dire?
non mi spingi più verso
la palpebra del tuo seno?

Un fascio di raggi rosseggia
sul tuo viso avvolto  dalle
mie mani.

venerdì 8 gennaio 2010

Disarticolato e disgiunto


Che stato in cui tutto si sfiora
e nulla si tocca,
pare che a un momento si arrivi,
invece no,
ancora lì a grondare senza mai
toccare terra.
L'erba gronda pure lei,
levandosi quel peso
del mattino gelato,
ora divampa e si struscia
fascio contro fascio
per farsi compagnia.
 

Tutto s'infucoca d'un tratto, si
smaterializza e sembra uguale,
uguale pure a me che
ora non sono più qua, e forse
non ci sono mai stato. Non
mi sento più essere, ma
avvinghiato ad ogni cosa,
quasi stretto da una morsa
che mi lega, e non ho
voglia di fuggire.

Ormai della vite si è
attorcigliata su di me e
mi basta, la ricerca la
continuerò domani, oggi,
oggi sono sazio e grasso.
Ho mangiato un palazzo,
qualche pianta e un vagone
gremito di persone.

Così perdo un giorno ed è tornata
la malinconia, bisbiglia di
lontano ma la sento, mi
opprime e consuma lenta.
Come un soffio è penetrata
dalla pelle, pare voglia
giungere là,
a sovverchiare qualche
cianfrusaglia e riaprire
ferite che parevan chiuse,
le graffia fino a che non
vedrà sgorgare il sangue e
mi vedrà di nuovo lì,
dove all'abisso non mancava che
un passo, dove al sol guardare
non avrei più occhi.
Non devo, chiudo gli occhi.
Basta.
Sono stufo di lottare, se
non ce la farò sarà la morte.