giovedì 29 ottobre 2009

Un fulgore e la tempesta

Un fulgore notturno s'abbattè violento, scardinando le porte dell'immaginazione, spazzò l'aria che brillava, e i suoni si fecero zitti. La foresta s'anneriva e gli alberi, pietosamente, si lasciavano andare, l'attimo si inciampava su pietre appuntite, fermandosi a tratti. Il lupo si schiarì la voce contro la luna e incomiciò il racconto. Narrò di come un indiano dalla fantasia spietatamente vivace se ne stava, per ore e ore, a sentire i temporali, dicendo che avessero un sacco di storie da raccontare e che lui amava molto sentirle. Il giovane indiano si chiamava Jukino, aveva vissuto fin da piccolo a braccetto con la natura, giocava a rincorrersi con le aquile, si riposava all'ombra di alte querce, chiacchierando con gli animali che vivevano nell'albero, e cosa che amava più di tutte si fingeva ogni sorta di animale o pianta o cosa che vedeva. Ah! Però la cosa che amava di più immaginarsi d'essere erano sicuramente i temporali. Avrebbe voluto poter planare lungo i pendii dei monti, coi tuoni e fulmini spaventare gli animali del bosco, e poi viaggiare, senza occuparsi di dove andare, lasciarsi cullare dal vento verso posti che nessuno aveva mai visto prima. Così, ogni volta che c'era un temporale, lui sostava all'entrata della sua tenda, a sentire gli incredibili viaggi che facevano i temporali. C'era sempre una storia diversa, c'era chi diceva d'aver visto il mare più blu che si potesse immaginare, oppure i colori più vivaci che sorseggiavano nei tramonti o che impallidivano al loro passaggio sulla terra. Un giorno però, in cui vi era un temporale particolarmente violento, Jukino, come al solito con l'orecchio proteso verso l'uscita della tenda, d'un tratto si alzò e si avviò, a passi prima lenti e poi veloci, nella tempesta. Da quel giorno nessuno lo vide più. Si dice di poterlo ancora sentire, durante i temporali più violenti, narrare le sue avventure e i suoi viaggi, se accosti l'orecchio vicino all'entrata d'una tenda.

venerdì 23 ottobre 2009

A Lara

Qual acceso freddo mi
percorse la schiena,
quando la tua mano vidi
di lontano. Tentavo di
prenderla per non
lasciarti fuggir, poichè
un'ancora gettasti al
mio cuor, abbandonato
alla furia dei venti.

Il faro del molo dove
ci vedemmo cerca ancora di
scovarci, indaga il cammino
delle nostre anime per
riportarci là, dove ad un
ruscello accompagna la selva,
e i rami si chuidono ad
arco, dove dall'edera si apre
il nostro giglio.

Un sottil amor si è insinuato
e ha tintinnato in me come un
campanello, ha risvegliato
antiche passioni, dormienti.
Di nuovo a galla mi riaffiori,
stanco di star coi relitti mi
notasti latente.

Astro del mio firmamento
irraggiami, inondami coi
tuoi sorrisi. Non lasciarmi
cadere, tieni un pò di posto
accanto al tuo cuore,
quassù con te, affinchè non
cada e mi risvegli dal sogno.

martedì 13 ottobre 2009

Un volo sino al naso

Cavalcando una pantera lungo la strada verso le montagne, la giornata tetra s'arrampicava lungo l'orizzonte, il granturco sbiadiva, rapinato del suo oro. Selvatico il mezzo con forza mi trascinava, sapeva a cosa andavo incontro. Il silenzio era tale che sentivo lo scrosciare d' ali di stormi, i muggiti fra il verde e il ronzare per il nettare. L'assoluto silenzio, di netto, fu interrotto da un essere vile, meschino, che furtivamente entrò dal finestrino abbassato a metà, senza permesso era entrato e non voleva saperne di andarsene. La concentrazione scendeva insieme alla notte, brusche e violente delle manate, per mandare via il disgraziato essere, sventolai, come bandiera bianca però. La lotta tra me e la mosca era ormai serrata, la maledetta rispondeva colpo su colpo, manco fosse una tigre! La mossa finale quella mi fece, mi si posò sul naso provocandomi un brutale starnuto che mi scosse. Con me scosse pure l'auto, con la quale mi schiantai contro un muro di cipresso. Ebbi giusto il tempo di scendere e dare un ultimo sguardo alla mia pantera, dalla quale ne usciva la mosca sana e salva, bella bella. Intanto io trasalii e mandai un'ultima parola per la dannata che rideva, riposandosi nuovamente sul mio naso freddo.

venerdì 9 ottobre 2009

Cielo Invernale


Quanti ricordi questa foto, quest'inverno a danzare fra le nevi... non manca molto, faremo angeli sulla neve e vedremo tramonti ...

giovedì 8 ottobre 2009

Ai Dormienti

Ipnosi dei sensi,
mi distruggo e
ricostruisco in nuove
forme.

Rallenta il mondo
e si fa respiro.

Mille occhi, sensazioni
da ogni parte che
fluiscono via e ora
appartengono a me.

Solo.

Ho rubato loro i modi
e me ne sono
appropriato, per
vederli meglio,
scrutarli,
analizzarne ogni
aspetto.

Poi senza scrupoli,
una volta conosciuti
i difetti, li ho derisi,
scherniti all'ombra di
un tavolino malfamato,
dove ognuno scherza
con amici, balla fino
a tardi.

Tutti vogliono tacer
le loro intime vergogne,
il loro passato , per
paura di essere divorati
da loro stessi.

Chiudono con la chiave
le violenze al corpo
e all'anima, la ingoiano a
forza e la buttano giù.
Scaraventano a terra i pensieri,
li calpestano col martello
per appiattirli, ma 

non riuscendo  mai
a distruggerli del tutto.

Così, ignari che l'inconscio

stia logorando pian 
piano il loro io più
profondo, si raggomitolano
e dormono.

Dormite,
non aspetto altro.

domenica 4 ottobre 2009

Nella mia Testa

Nella mia testa
un buco, il fluido
della mia essenza
ne esce.
 

Si svuota il mio
corpo intero e
guscio vuoto
diventa. Si riempe d'aria
e mongolfiera
salgo, viaggio per
il mondo.
 

Dalle cascate mi
getto come proiettile,
risalendo dai fiumi

balzando e
sfiorando l'acqua.

Dalle montagne scivolo,
rotolo impazzito e
solo in una valle
a conca mi fermo.
 

Ma d'un tratto risalgo
e gambero fino a casa,
retromarcia a velocità
della luce.
 

Nel mio corpo rientra
il fluido della mia
essenza e per non farlo
uscire metto un tappo

nel buco in testa.